Un fotografo di bambini sa perfettamente che non tutti i bambini sono uguali, davanti ad una fotocamera.
Non solo per la fotogenia ma soprattutto per il carattere e la personalità, con conseguente diversità di atteggiamento o predisposizione durante la sessione.
Ci sono bambini che scalpitano per uscire dal set ed altri che non vorrebbero più lasciarlo.
Alcuni piagnucolano tutto il tempo ed altri ridono a crepapelle, godendosi veramente il servizio fotografico.
Con alcuni ci vuole un pò di pazienza per sciogliere il ghiaccio, con altri la sessione vola via come un gioco da ragazzi.
A queste differenze ormai sono abituata e riesco ad adattarmi a seconda della personalità del bambino.
Ma ciò che, dopo tanti anni, ancora mi affascina prima di ogni sessione è leggere (ed intuire) nello sguardo di un bambino la percezione che lui ha di me, come persona e come professionista.
Intendo come fa a capire, in pochissimi minuti, chi sono, cosa faccio e cosa voglio da lui. E di conseguenza cosa può ottenere da me.
Perché dalle risposte che si da, dipende l’esito della sessione.
Collaborerà o meno, a seconda di come decodificherà quell’essere strano che gli è piombato davanti, pieno di roba altrettanto strana, tutta metallica e nera, pesante e preziosa, che tanto affascina ma forse anche spaventa.
La prima cosa che faccio, con qualunque bambino, sia se ho avuto modo di conoscerlo prima, sia se lo vedo in studio per la prima volta pochi minuti prima di iniziare a scattare, è proprio tirare fuori tutta l’attrezzatura, pian pianino, dalla borsa.
A volte chiaccherando un po’, a volte sorridendo se lo vedo timido, perché ogni mia parola potrebbe risultargli invasiva, bloccandolo ancor di più.
Una volta ordinata tutta l’attrezzatura davanti ai suoi occhi, già il suo sguardo cambia. Perché pensa sicuramente “cavolo, questa fa sul serio, mica come mamma e papà con quella scatoletta piccola piccola”.
Davanti ad un professionista un bambino si rilassa perchè si sente più sicuro ed è anche fiero di un tale dispiegamento di mezzi, tutto per lui.
Come se non bastasse, inizio a parlargli della mia attrezzatura, descrivendola e spiegando a cosa mi serve ogni singolo pezzo, come intendo usarlo per la sessione e che set avrei immaginato appositamente per lui.
Poi mostro dal mio iPad alcune foto, scattate ad altri bambini ed a quel punto hanno perfettamente compreso il mio ruolo.
E possono provare anche sentimenti puri come la vanità (“anche io sono bello”) e la competizione (“le mie foto saranno più belle di quelle che mi hai mostrato”).
Questo discorso vale per la maggior parte dei bambini, soprattutto maschi.
Con le femmine……è tutta un’altra cosa. Non me ne vogliano i miei lettori uomini, ma le femmine sono diverse: loro semplicemente nascono già pronte. A tutto.
Hanno una marcia in più, fin da piccole. Quando una bambina vede l’attrezzatura, senza neanche descrivergliela, il suo sguardo si illumina con il guizzo di un pensiero tanto semplice e pratico quanto acuto: “ok, io a questa oggi posso far fare quello che mi pare e realizzeremo grandi cose”!
Con questa bambina che ho fotografato al parco è andata proprio così. Non c’è stato bisogno di dire nulla. Si è fatta trovare “pronta” con il suo bel vestito in seta ed organza rosa, nel giardino della sua nonna. E desiderava essere fotografata.
Ed era talmente convinta del suo ruolo di modella che quando ad un certo punto le ho chiesto di togliersi i sandaletti e restare con i piedini nudi mi ha guardato un po’ dubbiosa e mi ha chiesto, tutta seria:
“Ma sei sicura? Sei proprio sicura che con questo vestito io debba stare a piedi nudi”?
Abbiamo scattato un po’ di corsa, perché nei pomeriggi di settembre il sole scende giù più velocemente, ma ricordo che la sua domanda mi è tornata in mente in ogni attimo di quella sessione e prima di ogni click.
Per farmi sorridere……ma anche pensare.
Ma in fondo in fondo, ero proprio sicura sicura che… scalza… con quel vestito…?
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Splendida bambina e splendide foto! E sì: scalza con quel vestito è perfetta! 🙂